venerdì 14 dicembre 2007

Lettere morali




Sono d’accordo col cugino che nella vita vale la pena di indagare un po’ in noi stessi (vedi Inside&Out).
Ovviamente, in accordo alle regole della dialettica, devo sostenere l’antitesi delle sue valutazioni.
Spogliatici delle vesti, magari raffinate, che spesso gli altri ci hanno cucito addosso e che si rivelano quasi sempre effimere se non vane (come quelle del re della famosa favola), possiamo decidere di andare in giro nudi.
Dobbiamo essere consapevoli degli effetti di questa scelta, che ci rende vulnerabili. E’ vero, rende più sensibili, ma fa pure sentire più freddo sulla pelle, oltre ad esporci al pubblico ludibrio.
Sì, forse la botte può risparmiarci qualche umiliazione, ma non fa molto di più.
Con la lanterna che portiamo nella zucca possiamo porci alla ricerca del vero, rischiarando la nostra strada, senza seguire il percorso più battuto. Un rilevante vantaggio sarebbe in questo caso raggiungere una posizione dalla quale osservare gli altri dall’esterno del gruppo, notare magari che avanzano a tentoni nelle tenebre o si perdono dietro a fuochi fatui.
Ideale sarebbe riuscire a convincere altri a seguirci per uscire dalla selva oscura. Probabilmente però a questo punto falliremmo.

Le alternative sono: o ce ne andiamo da soli, nudi ed affamati, per la nostra strada, per vivere in quello stato di equilibrio psico-fisico, caratterizzato da consapevolezza e coerenza nelle scelte di vita o ci aggreghiamo agli altri.
I più si aggregano. Qualcuno si allontana un po’ per poi ritornare nel grembo della società, che per fortuna riaccoglie i suoi figli ravveduti come l’ovile la pecorella smarrita.

Siamo strani noi esseri umani: da una parte vogliamo esaltare titanicamente la nostra libertà, conoscere il mondo con i nostri occhi e la nostra mente, agire coerentemente con i nostri principi, dall’altra preferiamo muoverci nell’alveo del consolidato, avere altri attorno a noi che condividano le nostre tesi.
Vorremmo vivere nel mondo ideale dell’iperuranio, dove forse come canterebbe Giovanotti la regola è l’eccezione, però accettiamo volentieri di condurre la vita “convenzionale”: studiare, sposarci, avere un lavoro sicuro, ben remunerato e poco faticoso, avere una bella casa, essere integrati nella società.

Be’, non sono sicuro che altre specie animali o vegetali non meditino come l’uomo sulle propria sorte, che non si chiedano perché si è così imperfetti, perché il mondo segue i ritmi che segue. Posso ben immaginare che un leone si interroghi sul perché la natura lo costringa a condurre una vita da predatore, quando la sua vera indole sarebbe docile e vivrebbe volentieri in sintonia con gli altri animali della savana.

Per concludere penso che gli ideali debbano essere realistici, conciliabili con la situazione concreta e con le naturali esigenze dell’uomo, che sono tra l’altro: bisogni istintivi, paura per l’ignoto e ricerca della sicurezza, della comodità (scelte “efficienti” a basso dispendio di energie), di volontà di affermarsi nella società, il che presuppone in gran parte l’accettazione delle regole (esplicite e non) vigenti.
Presentare l’uomo come essere che aspira alla “perfezione”, che potrebbe comportarsi con chiunque ed in qualunque circostanza in maniera sensibile, rispettosa delle esigenze altrui ed in grado di compiere le scelte giuste è quanto meno un errore di valutazione.
Siamo esseri limitati, che non conoscono spesso gli effetti ultimi delle proprie azioni, perché la nostra sensibilità, la nostra intelligenza, la nostra conoscenza ed anche il nostro amore per gli altri non sono infiniti.

La natura umana non si può cambiare o, meglio, i tempi per il cambiamento sono quelli biologici dell’evoluzione e sono lunghissimi (millenni) e non è detto che il cambiamento sia nel senso del miglioramento.

Le considerazioni e le domande, esplicite o implicite, in Inside&Out sono sostanzialmente le stesse che si ponevano i filosofi dell’Asia Minore e della Grecia più di 2500 anni fa.
Da allora credo che non sia cambiato alcunché nella natura umana.
Proprio per questa ragione ci si può affidare tranquillamente per la comprensione dell’animo e dei comportamenti umani a scrittori dell’antichità, senza “temere” che le loro osservazioni e valutazioni siano ormai datate, superate da contributi dell’ultim’ora della psicologia moderna.
Io trovo piacevole ed utile leggere Seneca (in particolare ho letto con grosso interesse il “De tranquillitate animi” ed il “De otio”).